ANTROPOLOGIA: Casi etnografici

ABRAMO, IL SACRIFICIO E L'OBBEDIENZA ALLA LEGGE DIVINA

Abramo espressione di un processo storico
Secondo la Bibbia Abramo viveva a Ur, Una delle più antiche e fiorenti città della Mesopotamia verso il 2000 a.C. Ricevuto da Dio l’ordine di recarsi in una non meglio identificata “terra promessa”, Abramo si mise in cammino con le greggi, la famiglia, i servi. Abramo è una figura mitica protagonista di una trasformazione storica che ebbe effettivamente luogo nella Mesopotamia di allora: l’espulsione di una parte della popolazione del dalle città e dalle terre coltivate che avevano raggiunto i limiti di sostentamento di una popolazione è diventata sempre più numerosa. È all’epoca in cui viene collocata la vicenda di Abramo che nasce la pastorizia nomade. Gli animali allevati erano pecore, capre e asini ma non i dromedari, che sarebbero stati adottati dai nomadi solo quasi 2000 anni più tardi.

La rivelazione di Dio e della sua legge
Il richiamo ad Abramo come “padre” delle tre regioni della famiglia semitica è emblematico della relazione che queste tre religioni stabiliscono tra l’uomo e il Creatore. Dio “si rivela” all’uomo con Abramo ed è a questi che detta la sua legge. È quindi unicamente a Dio che gli uomini dovranno guardare: non solo perché è Dio ad aver creato il mondo degli esseri che lo abitano, ma anche perché è da Dio che deriva la legge che regola la vita dell’universo e della società umana. Si tratta di una legge alla quale gli uomini sono tenuti a conformarsi senza esitazione. Questa sottomissione chiesta da Dio all’uomo - particolarmente ribadita dall’Islam - È espressa mirabilmente nel racconto biblico del sacrificio che Abramo è chiamato a compiere. Tutte e tre le religioni attribuiscono all’episodio del sacrificio un significato fondativo. La Bibbia racconta, infatti che Dio ordinò ad Abramo di sacrificare, insegno di obbedienza assoluta nei suoi confronti, il figlio Isacco.

Rituali in ricordo del sacrificio richiesto ad Abramo
Verificata l’obbedienza di Abramo, che in preda all’angoscia si apprestava a sgozzare suo figlio, Dio inviò a quest’ultimo l’angelo Gabriele che fermo la mano di Abramo e al posto di Isacco mise un capro. Questo racconto biblico è rimasto nelle tre religioni sottoforma di ricordo rituale. Gli ebrei mangiano, o evocano in maniera simbolica, l’agnello in occasione della Pasqua. Il consumo rituale dell’agnello in occasione della Pasqua ebraica era preceduto, prima della distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte dei romani, dal sacrificio che ogni capo famiglia doveva compiere al tempio in occasione di questa ricorrenza festiva. Anche i cristiani, a Pasqua, consumano carne da niello. In questo modo essi evocano la figura di Gesù, agnello di Dio sacrificato sì per gli esseri umani e che a Pasqua risorge; i musulmani, invece, ricordano la storia di Abramo con il sacrificio di un montone nel giorno dell’id al Kabir (festa grande), nell’ultimo giorno del loro pellegrinaggio alla Mecca.

L'uomo in bilico tra obbedienza a Dio e libertà
Il sacrificio dell’agnello simboleggia in modo drammatico quello che in tutte e tre le religioni è un evento - chiave nel rapporto uomo - Dio. La drammaticità del rito non consiste solo nel suo aspetto cruento. Essa consiste piuttosto nel far presente all’uomo il suo essere in bilico fra la tentazione di perseguire i propri istinti e i propri affetti particolari, da un lato, e la sottomissione alla volontà universale di Dio, dall’altro.

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