I DIVIETI E IL TAPU IN POLINESIA
Il concetto di tapu
Quando i missionari protestanti giunsero in Polinesia tra la
fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, intrapresero la loro opera di
conversione degli abitanti di quelle isole e si posero il problema di tradurre
la Bibbia nella lingua locale, traduzione che fu portata a termine tra il 1825
e il 1830. Decisero di chiamarla Bukhara tapu, “Libro santo”. Buka era il
termine con cui i polesani indicavano i libri, mentre tapu era la parola che,
secondo i missionari, si avvicinava di più a parte “Santo”.
Nella letteratura antropologica il termine tabu È stato
generalizzato, ma nel suo significato originario veniva utilizzato per
qualificare le prescrizioni che i capi e le famiglie aristocratiche dovevano
osservare nei riguardi della gente comune per conservare il proprio mana (forza
potere). La gente comune, per conto, doveva astenersi dal toccare o dal
guardare i capi per non essere danneggiata dal loro mana. Stare insieme,
mangiare insieme, guardarsi, unirsi sessualmente eccetera era, per
aristocratici e gente comune, tapu.
Un capo poteva anche dichiarare tapu un terreno, vietando
così che altri potessero coltivarlo. Infatti il significato primario di tapu
potrebbe essere meglio reso con l’espressione: “alla larga”, “off limits”. I
padri erano, in molte circostanze, tapu per i figli, le donne mestruate erano
tapu per gli uomini ecc.
Relazionalità del tapu
L’importante è sapere che la parola tapu ha, in polinesiano,
un uso relazionale. Essa indica una condizione che dipende dal tipo di
relazione che, di volta in volta, mette in rapporto due persone, due cose o una
persona e una cosa. Qualcosa è tapu solo se qualche soggetto agente (umano o
non umano) la definisce come tale. Questo agente può essere una divinità, gli
antenati o un capo (che in Polinesia era considerato un semidio). Ciò che è
tapu per una persona o categoria di persone può essere noa (consentito o anche
obbligatorio) per un altro individuo o per una certa categoria di individui.
Esempi di tapu
La capanna in cui le ragazze si ritiravano durante il
periodo tutte le loro prime mestruazioni poteva essere tapu dal punto di vista
dei ragazzi e dei maschi adulti; per una donna che aveva le mestruazioni,
invece, sarebbe stato tapu il fatto di trovarsi in qualsiasi altro luogo,
tranne che appunto nella capanna. Allo stesso modo, una casa riservata solo
agli uomini può essere tapu Per le donne e “permessa” invece gli uomini. Ciò
che è tapu, insomma, lo è sempre per qualcuno, e non in sé o per sé. In molte
culture un luogo, un’azione o una cosa che è tapu oggi, dal punto di vista di
certe persone è nel contesto di una circostanza o di un rituale particolare,
può essere consentito a un altro gruppo domani.
Tapu e sacralità
La stessa idea di “santo” rischia di tradurre male quella di
tapu, poiché “santo” sembra metterci di fronte a una contraddizione: se “santo”
è una qualifica positiva, perché dovrebbe valere come un divieto? Forse sarebbe
meglio intendere tapu nel senso di “sacro”, perché è qualcosa di “separato”, ma
non come lo intesero i missionari che per primi tradussero la Bibbia in
polinesiano. Costoro la chiamarono, come abbiamo detto, Buka tabu, che voleva
dire, loro pensavano, “Libro santo”. Nei fatti, questo titolo significò, almeno
all’inizio, che certe persone non erano autorizzate a leggerlo, mentre altre
invece lo erano. Che era tapu per qualcuno è per altri no.
Commenti
Posta un commento