SOCIOLOGIA: Leggere la sociologia

IL VOLONTARIATO E LO STATO SOCIALE
di Costanzo Ranci

Il welfare State
La crescita del Welfare State sembra indicare il superamento della beneficienza come forma principale di relazione tra ceti privilegiati e ceti svantaggiati, a favore di un'azione redistributiva operata su base obbligatoria dallo Sato stesso, legittimata dal principio dell'eguaglianza di tutti i cittadini.
La crescita del Welfare State, in altri termini, sembra liquidare del tutto le ragioni e le motivazioni che stavano alla base del volontariato nelle sue prime manifestazioni moderne.
Il Welfare State sembra così in grado di sostituirsi alla solidarietà “breve”, o paternalistica, del volontariato della prima modernità, sviluppando con maggiore efficacia un ampio sistema di protezione e di tutela. Esso si sviluppa nell’ambito della formazione e della crescita dello Stato-nazione, implica l’esistenza di un’amministrazione statale che raccoglie e distribuisce le risorse secondo criteri impersonali e tendenzialmente universalistici, sorge dall’esigenza di garantire alcuni beni comuni che nessun cittadino alla possibilità di realizzare da solo. È una forma di protezione pubblica, che integra insieme persone estranee e anonime, accomunate dal solo fatto di essere cittadini dello stesso Stato. Include, quasi tutti i cittadini, indipendentemente dalle opinioni, dei modi di vita dallo stato delle relazioni tra loro intercorrenti. […]

L'azione volontaria
L’espansione dell’intervento statale non ha tuttavia comportato la completa eliminazione e svalutazione dell’azione volontaria. Considerata come una “risorsa“ per le politiche statali, essa assume ora una funzione più di supporto e di complemento dell’intervento pubblico e privato. 
Non è un caso che proprio Lord Beveridge - il tenace propugnatore di un intervento statale capace di offrire una copertura universalistica dei bisogni della popolazione britannica - abbia redatto, nella fase immediatamente successiva alla fine della seconda guerra mondiale, un noto rapporto sull’azione volontaria. In questo rapporto Beveridge le attribuisce la funzione cruciale di fornire servizi “aggiuntivi“ a quelli necessari per assicurare il minimo vitale a tutta la popolazione, che devono essere di competenza delle autorità pubbliche.
Secondo Beveridge non ci deve essere sovrapposizione tra intervento pubblico e azione volontaria: al primo compete la protezione e la sicurezza dell’intera cittadinanza; alla seconda l’erogazione di servizi addizionali e la sperimentazione di interventi innovativi, di cui deve ancora essere valutata l’efficacia.
[…] È in questa fase che al volontario viene anche riconosciuta l’importante funzione di alimentare il senso di solidarietà sociale e il consenso della popolazione verso l’intervento delle autorità pubbliche.
[…] Tra le conquiste dello Stato sociale ci deve essere così anche il riconoscimento del “diritto di donare“, inteso come la possibilità per i cittadini di contribuire volontariamente, sulla base di un sentimento di appartenenza civile, alla realizzazione del bene comune. Integrata in un sistema pubblico che ne orienti e ne legittimi l’intervento, azione volontaria diventa così uno dei pilastri dello stato sociale.
L’ultima importante svolta nella storia dell’azione volontaria avviene negli anni 70, in concomitanza con l’esaurirsi della tendenza dell’intervento pubblico a espandersi sempre di più. Ora i limiti della spesa pubblica rendono impossibile ogni ulteriore espansione, se non in cambio della riduzione di altri interventi.

Nascita di un nuovo volontariato
Sotto la pressione della “crisi fiscale”, pressoché tutti i governi delle società occidentali frenano l’espansione del Welfare State, accingendosi anche, in alcuni casi, a perseguire una dolorosa politica di tagli sociali. Su un altro versante, si esaurisce la spinta propulsiva dei movimenti sociali, da quello operaio a quello femminista, che in diverso modo avevano occupato la scena pubblica nel decennio precedente, elaborando e sperimentando forme inedite di impegno sociale, fondato sulla riscoperta del territorio e sulla partecipazione “dal basso“ degli strati sociali più svantaggiati.
In una fase di apparente vuoto di iniziativa, si assiste nel nostro paese, nella seconda metà degli anni 70, all’emergenza di un “nuovo volontariato“. Esso si qualifica subito come un intervento “dal basso“ ma spogliato dell’ideologicità e dell’astrattezza tipiche dei movimenti sociali.
Alla forte politicità di quelle forme di impegno, i nuovi gruppi volontari contrappongono ora l’attenzione alla concretezza, alla capacità di rispondere immediatamente ed efficacemente ai bisogni sociali. Invece che rinviare la soluzione dei problemi sociali a un improbabile rivoluzione politica, si persegue il lavoro quotidiano, a contatto diretto con i soggetti dell’emarginazione.
All’idea del riscatto palingenetico dei ceti svantaggiati, si oppone la considerazione del valore sociale e personale del condividere le esperienze quotidiane e i problemi degli “ultimi“, dei soggetti spogliati di ogni voce e destinati a restare permanentemente in una condizione di marginalità. […]
L’impostazione assistenzialista delle organizzazioni volontarie tradizionali viene criticata e abbandonata a favore di un orientamento di “lotta all’emarginazione”, che identifica nel volontariato una forma di tutela e di rappresentanza delle categorie sociali esclusi dai benefici del Welfare State.
L’impegno del volontariato ha origine nel riconoscimento del diritto morale e sociale degli emarginati a essere assistiti e reinseriti nella società: il riscatto di questi ultimi coincide infatti con una rinnovata qualità dei rapporti sociali. L’azione dei nuovi gruppi non consiste nella protesta e nella rappresentanza dei diritti, quanto nell’organizzazione di servizi territoriali capaci di offrire una chance di reintegrazione degli emarginati.
L’azione volontaria assume su di sé è un compito ambizioso: la “condivisione con gli ultimi“ viene infatti promossa non solo come un’efficace strategia terapeutica, ma anche come un nuovo modello di convivenza sociale, antagonista ai codici burocratici dell’intervento statale e a quelli assistenziali delle grandi istituzioni caritative.

(C. Ranci, Il volontariato, il Mulino, Bologna 2006)

IL BRANO
Ranci nota come gli ambiti d'intervento dello Stato sociale siano in ampia misura gli stessi in cui ha operato nel passato - e opera tutt'oggi - l'azione volontaria di singoli soggetti e associazioni. Se la nascita del Welfare State sembrava in un primo momento aver eclissato l'impegno del volontariato, oggi la sua crisi ha rilanciato questo tipo di iniziative. Tuttavia, come viene illustrato in questo brano, il ruolo che assume oggi il volontariato non coincide con le sue forme originarie, nè si limita a inserirsi negli spazi vuoti dell'azione statale, ma incarna una prospettiva che si basa sul riconoscimento - non puramente astratto - dei diritti sociali e morali degli emarginati.

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